Perchè dobbiamo cambiare l'insegnamento della matematica?

Partendo dalla lettura dell'articolo di Maria Arcà, dal titolo "Perchè dobbiamo cambiare l'insegnameno della matematica?" che potete facilmente trvare a questo link (e che suggerisco a tutti i colleghi di andare a leggere), ho deciso di scrivere qui alcune mie riflessioni in merito all'argomento.

Innanzitutto: perchè cambiare? 
La semplice risposta è che le modalità di insegnamento della matematica che vengono attualmente messe in atto a scuola sono (per buona parte dei casi) inefficaci e inadeguate. La prova è il fatto che un atteggiamento piuttosto comune nella società d'oggi è il vantarsi con amici e parenti di non essere bravi in questa disciplina, quasi come se la competenza e l'interesse nei confronti di essa fossero cosa per pochi eletti.
D'altro canto, nessuno si vanta di essere un cattivo lettore o uno sportivo imbranato (piuttosto, questi sono motivi di imbarazzo tra la gente).
Inoltre, le competenze matematiche acquisite dagli studenti al termine del proprio percorso di studi sono molto spesso slegate dalla realtà, lontane da qualsiasi tipo di esperienza e scarsamente cariche di motivazione. 
Siamo dei cattivi-matematici per scelta, insomma.

Il modo d'insegnare quindi non funziona...e allora cambiamolo! 
Sì, ma non è per nulla facile per un insegnante abbandonare le decennali pratiche didattiche per avventurarsi in percorsi quasi del tutto sconosciuti, che non si padroneggiano a sufficienza e non si sa dove portino...

E' necessario, secondo me, partire con la "rivoluzione" su due fronti.
Il primo fronte è quello della formazione delle "nuove leve". Iniziando a dare un'idea della matematica di un certo tipo ai futuri insegnanti, certamente non si potrà che influenzare il loro modo di lavorare e di procedere, una volta arrivati in classe.
Il secondo fronte è quello dell'aggiornamento per gli insegnanti già in servizio, che magari da anni seguono indicazioni, metodi, pratiche di cui si sentono "esperti", ma che non sempre danno i risultati sperati.

Sembra che il secondo fronte sia quello più difficile da smuovere. In realtà ognuno dei due ha i suoi vantaggi e le sue difficoltà.

Il fronte della formazione è sicuramente più agevole, anche se le cosiddette nuove leve sono di solito fresche di scuola secondaria e hanno da poco lasciato le pratiche didattiche che vorremmo far loro abbandonare... 
D'altra parte mancano di esperienza sul campo e quindi, indirizzate nella giusta maniera, possono essere facilitate nella costruzione di una nuova serie di pratiche, più adatte e consone al lavoro con gli studenti, che poi andranno direttamente a sperimentare (ripeto, se motivate in maniera adeguata dai loro nuovi insegnanti!). 
Come fare questo? Attraverso il percorso che dovranno svolgere in Università, all'interno dei corsi di Didattica della Matematica e (soprattutto) dei laboratori didattici, che dovranno mostrare loro attività, buone pratiche e metodologie di lavoro utili, coinvolgenti e direttamente applicabili.
Se, come dicevo, la mancanza di esperienza sul campo può essere un vantaggio, d'altra parte potrà rivelarsi un importante svantaggio una volta giunte all'interno della scuola. Come anche Maria Arcà dice, infatti, una studentessa neo laureata, ben carica di entusiasmo e di voglia di mettere in pratica ciò che ha imparato, si scontrerà presto con una realtà non semplice da gestire, con colleghe che svolgono attività molto diverse (e magari guardano in cagnesco novità ed esperienze più interattive...parlo per esperienza personale!) e con genitori che hanno aspettative a volte molto rigide e fossilizzate sul proprio vissuto. 
Morale: è molto facile che anche le nuove leve si "siedano" e si convertano alle "vecchie maniere".

Anche perchè lavorare in maniera innovativa, facendo utilizzo di metodologie attive, proponendo problemi creativi e situazioni davvero dotate di senso, comporta un dispendio di energie molto superiore al lavorare con le pratiche frontali. 
Non solo, ma implica anche il non sapere di preciso dove si arriverà e il dover cambiare rotta all'improvviso in base alle reazioni dei ragazzi. Competenze non semplici da gestire per un insegnante. Acquisibili solo da chi ha una certa padronanza della diciplina.

E qui entra in gioco il secondo e più importante fronte: quello dell'aggiornamento dei colleghi già in servizio.
Posso dire per esperienza che non è sempre facile proporre innovazioni all'interno della scuola, soprattutto in ambito matematico. 
Posso dire però anche che molte colleghe (più o meno segretamente) sentono forte il bisogno di aggiornarsi e di trovare nuove strategie di lavoro, perchè si rendono facilmente conto che qualcosa "non torna", che qualcosa risulta inefficace e non è di aiuto alla classe.
La prima cosa da fare è sicuramente quella di fornire alle insegnanti degli esempi, delle esperienze nuove, dei percorsi già sperimentati che hanno funzionato.
Corsi di aggiornamento teorici ce ne sono a centinaia...e nessuno di loro più di tanto serve! La cosa di cui hanno bisogno le insegnanti è la praticità e la semplicità di esempi trasferibili nelle loro realtà quotidiane (seppur molto diverse tra loro).
Chi dovrebbe proporre queste esperienze? Beh sicuramente qualcuno che sperimenta nuove modalità di lavoro in classe e che condivide le proprie esperienze con altre insegnanti che le hanno a loro volta sperimentate (in maniera seria e "scientifica"). 
Meglio se un collega, quindi.
Dal canto suo, il collega deve prima di tutto essere in grado di conquistarsi una certa fiducia, per non diventare il "sapputello" di turno, ma per trasformarsi piuttosto in una "spalla" a cui appoggiarsi in caso di difficoltà, con la quale discutere del proprio operato, con cui fermarsi a scambiare idee in modo bidirezionale.
Un collega è un pari, non un superiore. Lo si ascolta più volentieri perchè non impone, ma porta esempi, a patto che il suo contributo non sia visto come il metodo infallibile, panacea di ogni male, ma come uno dei possibili per raggiungere uno scopo, perché ha portato a risultati interessanti in sperimentazioni precedenti.
Il collega può anche essere la "nuova leva" tirata in causa prima, che non si spaventa, ma osa proporre qualcosa per condividere con le colleghe ciò che di "fresco" ha imparato.

Ebbene, che cosa proporre allora?
Abbiamo detto esperienze pratiche, che facciano uso di metodologie attive, che partano da situazioni reali, dotate di senso.
Maria Arcà suggerisce di partire dalle Indicazioni, rileggerle con nuovi occhiali, snocciolare i significati insiti in esse, che vanno al di là degli obiettivi e delle cose che l'alunno deve saper fare al termine di ciascuna classe. 
Nelle Indicazioni (che non sono più impositive come una volta, ma appunto indicative) ci sono anche suggerimenti sul "come" arrivare alla costruzione di conoscenze.
A partire da questa rilettura, è secondo me fondamentale costruire assieme ai colleghi (più esperti e non) una serie di buone pratiche da seguire e utilizzare classe per classe. Un elenco di esempi, di attività da proporre, di fasi di lavoro da tenere a disposizione come un "prontuario", per chi è più insicuro.
E' un lavoro lungo, faticoso, lo so, ma è NECESSARIO! Ed è anche più importante della stesura continua di curricoli ricchi di obiettivi, conoscenze, competenze... 

Tutti parlano del "cosa", pochi anche del "come"!

Il "come" è il passaggio chiave, che può cambiare il nostro modo di insegnare. Soffermarsi a riflettere sul "come" è ciò che può davvero aiutarci a migliorare, a percorrere nuove strade senza avere paura, senza sentirsi inadeguati, portandoci ad esplorare nuove pratiche arricchenti.

La cosa che tutti noi dovremmo iniziare a comprendere è che collaborare e condividere è il primo e più importante modo per aggiornarsi!
Fare aggiornamento non è altro che imparare a confrontarsi e trovare momenti di scambio tra colleghi che insegnano le medesime discipline. Confrontarsi non sul "cosa" facciamo, ma sul "come" lo facciamo.

Iniziare a fare questo all'interno del proprio plesso, o del proprio Istituto Comprensivo, è già un grande e importantissimo passo avanti. 
Ma passi avanti se ne possono fare aprendosi anche al territorio, creando reti di scuole, contattando nuclei di ricerca già attivi, come quello di Milano o Bologna, per fare due esempi che conosco direttamente. 
O partecipare a convegni e incontri di scambio, come quello che la prossima settimana si terrà a Castel San Pietro Terme (BO). Questo tipo di convegno è interessantissimo perchè non c'è nessuno che dice "cosa fare" e dà indicationi unilaterali per realizzare esperienze in classe. Al contrario, molti diversi insegnanti mostrano "come" hanno realizzato alcune esperienze di base, senza dire: "Ciò che faccio io è giusto, fate come me!", ma semplicemente condividendo le proprie pratiche e allo stesso tempo imparandone nuove dagli altri insegnanti presenti.

Solo così il nostro modo di insegnare potrà davvero cambiare e migliorare. Solo così potremo iniziare a ridare senso a ciò che viene fatto a scuola nelle ore di matematica. Solo così potremo convincere anche i genitori che le strade che stiamo percorrendo (insieme, come gruppo docenti, non come singoli) vanno nella stessa direzione del cambiamento della scuola e della società.

Ho parlato anch'io della mia idea di "come" cambiare. Non ho parlato del "cosa", in quanto già lo scopo di questo blog è quello di offrire esperienze e pratiche che fungano da "cosa", cioè da esempio pratico per i colleghi. 
Allo stesso tempo, questi esempi condivisi diventano anche per me pretesti per conoscere realtà e situazioni diverse dalla mia, da cui io posso imparare a lavorare in maniera sempre nuova e migliore.




Commenti

  1. Salve. Che il Common Core e le sue modalità di somministrazione siano un buono strumento e un buon metro di giudizio è messo in dubbio da molti insegnanti americani e "conoscendo" alcuni di loro proprio per i loro lavori matematici mi sembrano attendibili. Si può seguire a questo proposito, per chi è interessato, il blog di Diane Ravitch:
    http://dianeravitch.net/
    La matematica è poi forse la disciplina che ha subito nel corso degli anni maggiori cambiamenti nella didattica.
    Fonte di riflessione mi sembra poi il fatto che paesi asiatici come Cina e India non hanno affatto didattiche innovative. In India a esempio si imparano a memoria tutte le tabelline fino quella del trenta almeno. La cultura matematica si costruisce come ogni cultura piano piano, sia nel singolo individuo sia nella società intera, al di là e oltre forse didattiche innovative vissute come... magiche. E con questo, spero che si capisca che non intendo affatto sminuire il valore dell'aggiornamento e dello scambio di esperienze e di pratiche fra colleghi.

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  2. ho provato a proporre dei "come" a chiedere "come hai fatto" ma ci sono state sempre fughe giganti allora ho fatto, poi ho raccolto l'esperienza senza seguito vedi Amato Giuseppe didattica
    www.maecla.it matematica e fantasia

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